Espressione e confronto di idee

Mondo

Col fiato sospeso

Il corsivo è di mio pugno, lo stampato la traduzione di mio pugno di articoli, in grassetto sono frasi incisive riportate. Buon viaggio.

sdr

 

(Gli Stati Uniti stanno per liberare 800 detenuti per terrorismo internazionale, imponendo la gestione del problema)

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E’ decisamente sconcertante immaginare di trovarsi dinnanzi ad una scelta cruciale, un bivio assolato nella steppa rovente, senza un cespuglio nei pressi del quale riflettere un istante sulla via da eleggere: affidarsi a impulsi dell’ultimo minuto, discernimenti impossibili nell’angoscia, frutti caduti prima di maturare, scelte sbagliate per forza di cose.

E’ il pensiero critico la guida stessa della ricerca del monitoraggio oggettivo, oltre a rappresentare anche il “vaglio” del medesimo, nel tentativo estenuante di avvicinarlo ad un’”oggettività”, solo supposta dall’essere umano.

E’ certo che, tenendo un quadro in mano, o appeso di fronte, se ne vede meglio l’immagine, rispetto a chi lo conosce su un libro, raffigurato. Varie immagini, varie angolature, distinti commenti, plurali, trasmettono comunque all’ipotetico fruitore del “libro” (su cui è raffigurato l’ipotetico “quadro”) qualcosa di più prossimo alla sostanza nella realtà. Se ne vedesse/sentisse solo uno…

E’ molto piacevole pensare che i punti di vista di svariati occhi, inclusi gli “stranieri”, abbiano l’opportunità di guardare, esplorare, anche solo contattare una determinata realtà, per poi riportarne l’essenza percepita: proprio questo tipo di osservazione plurale è il miglior antidoto (che io conosca) alle stille del veleno intrinseco a deleghe, settorializzazioni e deresponsabilizzazioni. Alla morte delle ideologie.

Turarsi le orecchie nei confronti di messaggi provenienti dall’esterno, cacciando la testa nelle sabbie mobili delle piccole specificità, piccole questioni, meschini tornaconti, o peggio, vendette ideologiche è invece la ricetta ideale per ritrovarsi sull’orlo di un grosso conflitto (coinvolti a vari livelli), senza avere un’idea di che stava a monte del momento di bivio, privi di qualsivoglia bussola, per intuire la direzione, unendo a favore della scelta in fieri, in magica triade il razionale, l’esperienza e l’istinto dell’ultimo minuto.

In generale essere fieri di delegare implica essere proni ad accettare.

Proclamare ai venti con definizione i propri sogni, è depotenziarli miseramente. Un romanzo, al posto di una poesia od un proverbio popolare, direbbe Gurdeev.

(Una volta ho cercato di creare una lista di proverbi popolari regionali italiani, alcuni dei quali destinati ad essere ‘insegnati’ da me ad alcuni alunni della scuola di Italiano in cui ho insegnato per quasi tre anni. Sognavo – molto più in piccolo, rispetto alle estensioni automatiche globali dei diritti umani fino in Bangladesh, direttamente da Borgo San Lorenzo per vasi capillari– sognavo, dicevo, di raccogliere un tavolo di discussione tra gli insegnanti, su quale tipo di ‘carattere popolar-regionale’ ci fosse in alcuni dei proverbi scelti dalla mia ricerca, cioè curiosità ‘di sintesi’ sui caratteri della nostra nazione, espressi dal volgo (!) … Poi mi sono reso conto, bruscamente ed in maniera poco raffinata, che l’ambiente dei miei colleghi avrebbe più dato adito a sterili sfide/esibizionismi, che ad estensioni eventuali del campo coperto eventualmente dall’”insieme percorribile”… Ed ho rinunciato.)

Per quanto nulla ve ne cali…

Parto aggiornandovi, cicalando sul fatto che SI’, Gli Stati Uniti SI SONO ufficialmente inaciditi su quella questioncina di cui vi comunicavo in un precedente articolo: la decisione di Regno Unito, Francia e Germania di “aggirare” i blocchi imposti da Washington all’Iran, tramite l’istituzione di °INSTEX, strumento di scambio economico tra le suddette nazioni.

A San Valentino Mike Pence, il Vice-presidente degli Stati Uniti, in un attacco senza precedenti nella storia recente, ha dichiarato disapprovazione e promesso ritorsioni per il quanto (piccolo salto quantico), “..per aver cercato di sabotare l’efficacia delle sanzioni Americane all’Iran, insistendo contemporaneamente perché Francia, Germania e Regno Unito escano dal patto sul nucleare del 2015”. Parla apertamente di una mossa sbagliata, che rafforza l’Iran, indebolisce l’Unione Europea e scava un fossato di distanza tra l’Europa e gli Stati Uniti d’America, oltre ad alzare il tiro sulla geopolitica globale, promuovendo dichiaratamente Israele e gli Stati del Golfo [Persico], Arabia Saudita ed Emirati in testa, nella cooperazione di supporto alla linea anti-Iran, decisamente contrapposti ideologicamente a Francia, Germania e Regno Unito nella fattispecie.

Lo UK ha già espresso posizioni ufficiali a riguardo, tramite una portavoce del Ministero degli Esteri, ma ciò può essere argomento altrove, in un altro momento.

Ancora più preoccupante è una certa leva che Pence ha azionato deliberatamente nello stesso contesto, “è venuto il momento di andarsene, per i nostri partner europei”, uscire dallo stesso trattato sul nucleare, stipulato nel 2015 con Russia, Cina, USA e Iran, restare sull’orlo del precipizio, con davanti il tutto eventuale da riformulare (o peggio?…).

Le prospettive iniziano ad accavallarsi confuse e minacciose.

  

Personalmente, c’è da dire che l’iniziativa di “sabotaggio” descritta riluceva come una mossa ardita .. soprattutto da parte della Germania, che non so, se avesse inteso le implicazioni, al di là del suono del denaro vomitato dalla slot-machine del momento, spacciato per alta morale…

Gli Eterni Secondi (leggi Germania) dovrebbero rassegnarsi a giocare un ruolo decentrato, NON smaniare nell’emulazione dei primi (Stati Uniti, gli UNICI che si possono ancora permettere di diffondere uno ‘stile’, quale ad esempio il ‘noi imponiamo/troviamo alternative radicali’… se non dichiarando aperti conflitti…oppure i conflitti si decide di concepirli…ma consapevolmente – non come uno sciame di vespe dietro a quattrini ideologizzati in modo posticcio…).

Già varie volte la Germania si è fatta pizzicare in intrallazzi un po’ oltre il sudest europeo (zona quest’ultima dove gli USA marcano stretto e non lasciano molte radure…) … ricordo un brutto caso di armi all’Iran con Lufthansa (non vorrei sbagliare) negli anni ’80, durante la guerra Iran-Iraq .. E sappiamo che la Germania è sempre stata molto condiscendente sull’argomento Turchia, diciamo ‘casualmente’ trainante, sull’ultimo decennio di linee ‘europee’ (purtroppo le virgolette non esistono doppie!!)…

E’ molto curioso notare che proprio la Germania è stata promotrice della promessa di una pioggia di soldi sulla Turchia, a certe condizioni propedeutiche ad un’entrata in Europa della stessa, che mai avverrà, prima dello sfaldamento dell’Europa medesima in questione… Promesse basate su sogni di estensione ‘automatica’ dei diritti umani al mondo intero per il principio dell’osmosi (o dei sermoni di Angela Merkel)?… Sarebbe la prima dimostrazione valida di una simile teoria (balzana).

La Turchia non pare aderire agli alti principi morali di unione e identità di vedute su temi di principio, quelli a cui Juncker cotanto tiene… Eppure gode di rispettabile considerazione!

Il mio interesse si concentra sul tipo di strategia, naturalmente NON sullo schierarmi da una parte, piuttosto che dall’altra. Sono allibito, ogni volta che eventualmente in un discorso mi sento in dovere di spiegare l’ovvio (per chi segue una logica), quando percepisco che non viene valutata una conseguenza, dinnanzi ad una diatriba in sé.

Credo che le dirigenze “europee” non abbiano molto in conto le conseguenze, al di là della mera esibizione di principio. Non solo le europee.

Certo, se si è convinti che a fare un sorrisetto a destra, e uno a sinistra al momento opportuno, in fondo si sarà capaci di portare a frutto ciò che si desidera, ma soprattutto se si desiderano solo due quattrini, un telefono e una tv con davanti una poltrona, intendo tutti i giorni, beh, allora dobbiamo ringraziare proprio l’Europa, che nel dialogo con i suoi cittadini spaccia lucciole per lanterne, sperando a mani conserte (e un po’ troppe preghiere?) nella diffusione osmotica del proprio modello, presunto migliore.

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Trump tariffs will drive car trade off the road 16022019

(I dazii di Trump porteranno “l’auto” allo sbando)

Colpo duro per i produttori di auto europei, se il presidente decidesse di citare la sicurezza nazionale, per imporre dazii al 25%

[Riporta Ambroise Evans-Pritchard]

“L’amministrazione Trump pare pronta a dichiarare che l’import di autoveicoli pone una minaccia alla sicurezza nazionale, aprendo prospettive su tariffe draconiane, fino al 25%, imposte alle spedizioni provenienti dall’Europa e dal resto del mondo.

Domenica è atteso il verdetto di un lungo studio del Dipartimento Federale per il Commercio degli Stati Uniti, in seguito ad un contenzioso. Esperti del campo dicono che il dossier è pronto, già giace sul tavolo dello Studio Ovale di Mr. Donald.

Siamo in più di uno a pensare che accamperanno qualche ragione di minaccia per la sicurezza interna. Il tutto è stato probabilmente già pianificato, anche se nessuno naturalmente lo ammetterà”, dice William Reinsch, ex dirigente di lungo corso del Consiglio Nazionale per il Commercio con l’Estero [NFTC].

La Casa Bianca avrà a disposizione 90 giorni [fino al 18 maggio 2019], per decidere se cogliere la palla, usare le informazioni, indi scegliere a preferenza tra un menù, che varia da misure contenute, relative per esempio a componenti elettronici di qualità, o auto elettriche, fino ai “piatti forti”, colmi di imposte con tariffe del 25%, eventualmente applicate su tutte le importazioni, come il Presidente ha caldeggiato già in passato.

Azioni di tale portata decapiterebbero il traffico transatlantico di un 10%, oltre a scatenare vari tipi di rappresaglie ovunque nel mondo, causando caos diffuso tra le maggiori, complesse catene di fornitori (supply chains): si rivivrebbero paure di guerre commerciali punto-a-punto, tra i due maggiori blocchi economici mondiali, oltre naturalmente a arrestarsi bruscamente ogni tipo di corsa al valore finanziario [di codeste “catene” , delle varie realtà che le compongono].

La teutonica WirtschaftsWoche riporta l’esistenza di piani già redatti dall’Unione Europea, relativi a sanzioni, che a loro volta dovrebbero eventualmente rispondere all”attacco”, mirando uno spettro di prodotti già selezionato [auto a guida autonoma, Tesla, Apple tra gli altri…].

Dazii al 25% sarebbero come un colpo d’ascia, per l’industria automobilistica del Regno Unito, mentre già vacilla in vista della Brexit. La Gran Bretagna è con ampio margine il secondo esportatore europeo di automobili verso gli USA. Siamo su vendite intorno ai 221,000 veicoli annui, in crescita lo scorso anno, con in testa Honda, LandRover e BMW, che hanno movimentato spedizioni atlantiche di circa 8mld di dollari, rappresentando il 18% dell’export totale di auto dallo UK, raro esempio di bilancia commerciale largamente a favore della Gran Bretagna: ancora non è chiaro se godrà del trattamento speciale di essere esentata dalle imposte doganali in questione, in caso di uscita dall’Unione senza accordo con la stessa [non si perda mai di vista il solido e poco appariscente cordone ombelicale che lega il Regno Unito con i restanti Paesi del Commonwealth – tuttora esistente].

Estrema attenzione ora, se mi si concede:

Mr Reinsch, attualmente in forza al Centro per gli Studi Strategici e Internazionali, riporta che la Casa Bianca mira ad utilizzare il report [già sul tavolo dello Studio Ovale, come vedevamo da principio] come una frusta sulla schiena dell’Europa, fino a persuaderla della necessità di ‘fare un po’ di volontariato’ [militare, spiego..], decidere di mandare ‘un tot, una quota’ a presidiare le ‘linee dell’era-Reagan, del patto col Giappone degli anni Ottanta’.

Non è una questione di dazii .. si tratta di leve”, ha detto Reinsch.

L’amministrazione americana approfitterà della china recessiva su cui scivola lentamente la produzione industriale europea, per dare una spinta in più in discesa: “Se Trump sente odore di piaga aperta, ci rigira il dito subito”.

Emblematica del tutto la tregua commerciale raggiunta lo scorso luglio da Trump, con il Presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker [lo vedevamo assieme .. l’irreprensibile statista lussemburghese…].

L‘UE credeva di aver portato a casa l’impegno formale a redarre un trattato sul libero scambio, con zero dazii sulla grande maggioranza dei prodotti industriali, magari blindando il surplus produttivo in ulteriore commercio di beni, ed escludendo il settore agricolo, altamente protetto (protezionista).

Troppo bello, per essere vero: speranze fatte a brandelli dal Congresso degli Stati Uniti. “Non riesco veramente a capire, come sia possibile, che ancora qualcuno in Europa speri che un trattato sul libero scambio possa passare al Senato degli USA, se il Vecchio Continente non cede a negoziare sull’agricoltura”, dice il Sen. Chuck Grassley, un agricoltore dell’Iowa e membro del Comitato Finanziario.

  

Marie Kasperek del Consiglio Atlantico afferma che un’eventuale risoluzione degli Eurodeputati potrebbe addirittura soffocare perfino le ultime speranze di raggiungere qualsivoglia accordo sugli scambi commerciali.
La risoluzione di cui parliamo passerà al voto la settimana prossima [18-22/2/2019] e il testo attacca apertamente Trump, la sua politica nei confronti dell’Iran [che ora è di nuovo un ‘cattivone’ per gli USA], e addita ufficialmente gli attuali dazii USA sull’acciaio come una violazione delle regole della WTO [World Trade Organisation, il sommo ente regolatore del commercio in assenza di altri trattati]. Tra i punti fermi del testo soggetto a voto c’è l’espressione esplicita di non voler scendere a patti “sotto minaccia”. Se passerà, la Commissione sarà automaticamente esautorata del mandato alla stipula del trattato stesso, secondo principio democratico [notare attentamente l’ultimo inciso].

In ogni caso il messaggio farà adirare Mr. Trump, che lo leggerà come una violazione degli accordi di luglio 2018 con Juncker, sentendosi intitolato a pressare il pedale sul mercato dell’auto, dice Miss Kasperek.

Alcuni critici affermano che l’utilizzo della Section 232 potrebbe essere considerato come un abuso di potere nell’ambito della WTO. Reinsch rafforza, dicendo che il titolare USA del Commercio, Jim Lighthizer, è piuttosto sensibile al tema, non vorrebbe aprire un secondo fronte di guerra con il Vecchio Continente, mentre l’impegno massimo è necessario nel lottare contro le tecniche commerciali predatorie praticate dalla Cina [che a sua volta detiene enormi leve di ricatto sugli USA, una grande percentuale del loro esorbitante debito pubblico, appeso alla credibilità della loro supremazia…Cina che, per ora, ha azionato manovelle solo per bloccare polli…].

Trump ha deciso di appendersi a testa in giù davanti all’uscio. Farà attivare nastri di cause legali di ogni tipo, e se imporrà dazii durante una fase recessiva globale, si inizieranno a vedere un bel po’ di vendite, sul mercato…[finanziario].

A differenza dall’ultima applicazione delle tariffe sull’acciaio, questa volta non si può dire di aver riscontro di un espresso interesse americano per l’implementazione ora di questo meccanismo: i produttori interni si oppongono, i sindacati si mantengono neutrali, mentre le associazioni dei consumatori affermano che sarebbe una follia. Rimane Mr. Trump, che pare essere convinto che in passato un bel 25% sui camion importati abbia stabilmente relegato i produttori esteri fuori dal mercato USA, e potrebbe benissimo essere tentato di replicare.

Si tratterebbe di barriere, la cui scala impatterebbe seriamente sull’industria dell’auto tedesca, presa di mira con particolare insistenza dalle “demonizzazioni” del presidente Trump (che comunque possiede 3 Mercedes da circa un milione di euro…).

L’UE attualmente applica tasse del 10 sulle auto prodotte in uscita, gli USA il 2,5, mentre un attore in particolare fremerebbe, per livellare verso il basso la divergenza: la Germania, che vedrebbe incrementare la sua penetrazione in America.

Si dà però il caso che la stessa Germania sia al centro dell’attenzione dell’amministrazione USA, additata come uno stress per il sistema valutario internazionale, oltre che per il commercio globalizzato, accusata di sfruttare il sistema-euro, solo per accumulare sotto pietra il surplus [controllo prezzi “in crisi”] , perseguendo una strategia mercantilista relativa alle esportazioni.

La produzione di auto è la colonna portante dell’industria tedesca, impiega 820,000 addetti diretti e genera 272 miliardi di euro di export annui, siamo attorno al 10% del PIL krukko. E’ il ramo industriale che detiene il 38% dell’intero mercato mondiale dell’automobile ‘alto di gamma’.

Le stime (del tedesco IFO) parlano di perdite attorno ai 10 miliardi di euro annui, in caso di nuovi dazii e Brexit “dura”, per l’industria auto tedesca, ma a questi calcoli va aggiunta la considerazione del fattore per cui entrambe le circostanze sommate avrebbero effetti più ampi, limitando gli spazi di manovra per correggere gli ammanchi nella bilancia commerciale tramite diversificazione.

Guardata singolarmente, questa stima non si potrebbe automaticamente definire la descrizione di una decisa spirale sistemica, ma è comunque un tunnel un po’ cieco, per un settore già barcollante dallo scandalo-diesel, che inoltre è costretto a rifornirsi in Asia, per batterie destinate ad alimentare veicoli elettrici, i cui progetti segnano per ora il passo nei confronti di quelli delle altre economie globali.

Siamo molto preoccupati per le direzioni intraprese dalla politica commerciale degli Stati Uniti”, ha dichiarato Klaus Braeunig, di VDA (Associazione produttori auto)”.

[La ‘Section 232’, parte di una legge della presidenza Kennedy, del 1962, chiamata ‘Trade Expansion Act’, intitola il Presidente degli Stati Uniti d’America a ‘correggere’ la quota importata di vari beni commerciali, in caso ritenga minacciata la “sicurezza nazionale”… Ad attivare un’analisi, possono essere Il Ministro del Commercio (Secretary of Commerce) o qualsiasi parte, previo controllo del consenso interno; il Ministro della Difesa (Secretary of Defense) DEVE essere al corrente dell’eventuale inchiesta, e PUO’ partecipare alla scelta delle linee d’azione.

Probabilmente è l’arma economica più efficace in mano al Presidente americano, di ampia gittata in relazione alle ricadute finanziarie in contesto globale, è stata usata 14 volte dal 1980, l’ultima volta dopo l’11 gennaio 2018, quando Donald Trump ha applicato dazii sull’import di acciaio, in seguito alla relazione a riguardo, ‘poggiatagli sulla scrivania il tal giorno. E’ degno di nota anche il fatto che codeste imposte siano state rivolte principalmente ad Asia/Pacifico, ciò confermando la linea dichiarata dal Presidente stesso, molto più tesa alla ricerca di stipule vantaggiose con Cine/Coree/Vietnam/Filippine/Giapponi, orientata alla preponderanza di NAFTA e TPP – Trans Pacific Partnership. Da ricordare anche la ‘pretestuosità’ delle motivazioni a supporto dell’ultimo rinforzo della 232, quello di cui sopra: “…the excess production of steel and the present quantities of steel imports are weakening our internal economy and reducing our ability to meet national security production requirements in a national emergency”…

Con l’Europa, il presidente per ora temporeggia fin dopo il voto di cui parlavamo prima, attendendo leve “esterne” (Brexit, eventuale autogol del voto, ratings di Fitch e altre agenzie di finanza globale, attese tra il 22 febbraio e la fine di aprile)].

Non è sufficiente avere uno o più validi relatori, responsabile/i di un monitoraggio magari oggettivo, quando non si conosce personalmente la composizione del Senato degli Stati Uniti (come sospetto Juncker e molti altri saggi eurocrati): è insufficiente ad avere un quadro utile a direzionare un continente, a scegliere linee politiche, l’unica cosa che lEuropa ancora potrebbe sperare di fare, alte e serie linee politiche, in attesa di qualche uccellino che accorra sotto l’ala, a tempesta…

Non è onesto, nei confronti degli elettori europei, far loro credere di essere in posizione di forza né con USA, né con UK, con cui invece l’Europa sperimenterà momenti difficili, diretta da uomini, che non si curano di andare per il sottile nelle analisi, ad esempio ancora analizzare il comportamento della Camera dei Comuni britannica, piuttosto che invece cogliere le espressioni di diffida (interna) alla linea di Theresa May e tentare di spacciarle per tentennamenti sull’uscita dall’Unione, cosa che ostacola la vera visione della realtà geopolitica e non mette in buona posizione per scegliere, eleggere.

Capire non pare una prioità: è molto più frequente imbattersi in frasi oltraggiose, revansciste, ricattatorie, presunzioni espresse dalle dirigenze europee, che contemporaneamente seguitano a “volare alte”, TROPPO alte, sulle vere questioni contingenti.

A mio parere.

Lo dico, anche dopo aver letto un breve, incisivo pezzo editoriale del Telegraph:

…E Miss May passeggia…” :

– “Direi che a Bruxelles si stanno chiedendo: – Che diavolo di linea avrà mai, ‘sto Regno Unito, sulla Brexit? – L’altra sera, pareva che i Deputati disprezzassero la stessa bellissima posizione negoziale, che con gran trionfo del Primo Ministro le avevano delegato appena due settimane prima .. Così, come al solito, dall’esterno, all’improvviso, il proclama di Theresa – “Il Parlamento si è espresso” – può apparire poco limpido.

I sostenitori dell’uscita dall’Unione hanno respinto quest’ultima mozione, per essere certi che l’opzione ‘NO-DEAL’ resti ben eleggibile sul tavolo, nonostante le insistenti rassicurazioni a riguardo già fornite dal Primo Ministro. Questo è il prezzo che zia Teresa paga, per aver giocato finora per due anni con le carte saldamente incollate alle tette, facendo spallucce a diversi ministri, talora forzando istituzioni, mantenendosi in generale sottocoperta, tra le brume. Chi veramente vuole uscire, fatica ora a prendere sul serio le parole del Governo.

La May ha due opzioni: una, il dire – “Il voto è prova della necessità di rivedere l’accordo con l’Irlanda, se vogliamo ‘fare l’affare’ – il che, in teoria, imporrebbe un ulteriore procrastinarsi delle trattative, o l’attivazione di un meccanismo di “ritirata” non protetto.

E’ più probabile che se ne uscirà con un – “Nulla è cambiato” – con la barra del timone già in piena virata schiumante attorno alla boa di regata… tutte le vele già dispiegate al vento [Piano “A”…].

Il Primo Ministro non sta finendo il tempo: passeggia avanti e indietro, calma, attende alla finestra, che si presenti il messo da Bruxelles, a infilarle sotto l’uscio qualche formuletta retorica, capace di mettere a cuccia le coscienze dei ‘Leave’ e contemporaneamente far sgattaiolare attraverso le grinfie di un Parlamento scettico un trattato di uscita in buona parte identico a quello rifiutato in precedenza.

L’unica falla in questa strategia è emersa proprio ieri in Camera dei Comuni: molti Conservatori euroscettici hanno idee decisamente più drastiche sulla Brexit, rispetto a quelle di May. Ella non solo sta conducendo negoziati con l’Unione Europea, ma è impegnatissima a bilanciare le tensioni interne al suo Partito, soprattutto provenienti dai Brexiteers ‘duri’.

Mancando ormai 42 giorni, la di lei inefficacia a dirigere voti convergenti ai Comuni ha aumentato le probabilità di un ritardo [di cui May ha già avvisato a gennaio “tra le righe”], O ALTERNATIVAMENTE di una Brexit senza accordo con l’Unione, entrambi scenari che lei stessa ha detto di non preferire.

Tic-tac, tic-tac, tic-tac…”

 

Теодори, 17.ого февр. 2019 г.